“Selvatici e salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern”
MUSE e Mart con la collaborazione di UNCZA
Palazzo delle Albere, Trento 22.10.2021 – 27.02.2022
Le arti figurative sposano l’arte letteraria, a Palazzo delle Albere a Trento. “Selvatici e salvifici. Gli animali di Mario Rigoni Stern” la mostra ideata da Sandro Flaim, curata da Giuseppe Mendicino, per la parte letteraria, e Fiorenzo Degasperi, per la parte artistica e organizzata dal MUSE di Trento in collaborazione con il MART di Rovereto per rendere omaggio al grande scrittore nel decennale della nascita. Nell’elegante e curato allestimento proposto nelle preziose stanze che furono residenza estiva del Principe Vescovo di Trento si sono voluti accostare, in una forma di dialogo introspettivo, testi di Mario Rigoni Stern che parlano di animali selvatici con le opere di artisti contemporanei dell’arco alpino che li raffigurano.
Nelle storie del grande scrittore di Asiago la memoria delle tragedie del novecento, a partire dal sofferto ricordo della seconda guerra mondiale, si alternano e si intrecciano con le rappresentazioni del mondo naturale, della vita e del mondo dell’Altipiano e della sua montagna, dei suoi boschi e dei suoi animali selvatici. I luoghi dove lo conduceva spesso la sua passione per la caccia, ma anche e soprattutto la ricerca di una immersione rigenerante che solo il contatto con la natura gli sapeva dare. Agli animali selvatici, alla fauna che popola le sue montagne ed alla caccia Mario Rigoni Stern ha dedicato tanti racconti, che troviamo nelle raccolte “Il libro degli animali”, “Racconti di caccia”, ma anche ne “Il bosco degli urogalli” e in “Arboreto salvatico” e pure in testi dai temi diversi, come nello stesso “Sergente nella neve”.
La mostra di Trento vuole ricordare ed evidenziare con forza il potere “salvifico” che la natura ed il mondo degli animali selvatici, in particolar modo, hanno per l’uomo moderno, secondo l’insegnamento lasciatoci dallo scrittore. L’incontro con gli animali, il bosco, la caccia in particolare hanno sempre avuto per lo scrittore un’immersione rigenerante, un contatto dal potere taumaturgico a cui ricorrere per contrastare le avversità che la quotidianità dell’esistenza spesso riserva. Ricorda Giuseppe Mendicino, biografo dello scrittore nel suo recente libro “Mario Rigoni Stern. Un ritratto”, come dopo il ritorno dai venti mesi di prigionia nei lager tedeschi, sfinito nel fisico e nell’anima, andare a caccia di forcelli e di galli
cedroni era stato salvifico per Rigoni, un riabbracciare il mondo naturale e la vita stessa. Impossibile dimenticare gli orrori della guerra, ma in quelle lunghe escursioni per boschi e montagne capì che poteva ricominciare a vivere. Gli animali selvatici, come ci ricorda bene sempre Mendicino nella sua presentazione al catalogo della mostra, sono stati per Rigoni Stern anche simbolo di speranza per un’umanità da recuperare dal qualunquismo e dalla materialità della vita moderna. Come il capriolo Gretel del libro “Stagioni” quando, nell’inverno del 1944, Rigoni, ormai da molti mesi prigioniero nei lager tedeschi, si trovava in un campo situato tra le montagne della Stiria. Oltre ai reclusi, utilizzati come schiavi in una miniera di ferro, i tedeschi tengono rinchiusa una femmina di capriolo, pensando di liberarla in primavera. Alcuni commilitoni, sotto i morsi della fame, un giorno fantasticano di ucciderla e cucinarla, ma uno di loro li ferma: “No, non dobbiamo ridurci a questo. Lasciamola vivere perché ci dà un po’ di gioia vederla qui intorno. In primavera la manderemo via nel suo bosco perché anche per noi verrà la libertà”.
Ad accogliere i visitatori a questo omaggio artistico a Mario Rigoni Stern è un grande cervo rosso che emerge dalla terra all’ingresso del rinascimentale Palazzo delle Albere, opera lignea di Roberto Pedrotti, proteso verso l’alto, verso il futuro, verso la speranza. Il suo palco, scrive Fiorenzo Degasperi, che si rinnova periodicamente simboleggia la rinascita continua e il corso del tempo. Ed il colore rosso, continua, ci rimanda al cervo dipinto dai cacciatori di 11.000 anni fa su un ciottolo ritrovato sull’Altipiano della Marcesina nella terra cimbra di Mario Rigoni Stern. La visita continua poi nelle sale affrescate del palazzo con rappresentazioni artistiche suggestive e diverse fra loro, ma accomunate dall’unico messaggio della rappresentazione del valore del nostro patrimonio faunistico. Ci accolgono per primi gli orsi futuristi di Fortunato Depero, che lascia poi il posto alla contemporaneità. Dalle sculture in legno del giovane Matthias Sieff alle Scheibe di Claudio Menapace, dalle xilografie di Gianfranco Schialvino alle nature morte iperrealistiche delle matite colorate di Gianluigi Rocca, dalle sculture in ferro battuto di Ivan Zanoni ai fantastici totem di legno di Adolf Vallazza e tanti altri.